La frase “l’amicizia non è un do ut des” afferisce a quella categoria di frasi che, pur essendo indubitabilmente vere, non puoi pronunciare a tuo uso e consumo.

E' una verità di fatto: l’amicizia è un sentimento che va al di là del tornaconto personale, non la crei con il fine di ottenere, come fine, qualcosa.

“Do ut des” significa “do qualcosa con lo scopo di ottenere qualcosa”.

E' solitamente associata a loschi mercimoni, pensiamo alla corruzione, al voto di scambio, ma in realtà descrive ciò che sono normalmente molti rapporti umani: anche un rapporto di lavoro, per quanto sereno, è pur sempre un “do ut des”, dato che nessuno lavora e si spende per il nulla.

L’amicizia, tuttavia, non è basato su questo: non si crea con questo scopo.

E' inutile descrivere su cosa debba essere basata l’amicizia, ci hanno provato in tanti e trovo, sinceramente, questi testi decisamente superficiali e dal sapore falso. In verità ognuno ha le proprie convinzioni in materia, ed ognuno ha il proprio modo di vivere l’amicizia, la vita e i principi più in generale, nel senso che interpreta questi ultimi con maggiore o minore rigore.

E' altresì vero tuttavia che un qualche scambio, di fondo, c’è sempre. Nessuno è amico di una persona che sente nemica o, semplicemente, indifferente.

Si cercano gli amici per sentirsi amati, per avere uno sfogo, a volte anche per fare da spalla, da gregari, per divertirsi, per condividere punti di vista, per tirarsi i capelli, per litigare di politica e di calcio. Sempre però con uno scopo, anche se ben nascosto.

E ciò non è affatto una cosa cattiva, anzi, ma un dato di fatto. Non abbiamo amici tra i colleghi di lavoro, per dire, quelli più stronzi. Non sono amici, sono, appunto, colleghi di lavoro stronzi. Idem per i vicini: quelli più antipatici, quelli che cantano a squarciagola nella doccia alle 7 della mattina di domenica, quelli che parcheggiano l’auto a cavallo degli spazi, quelli che fumano nell’ascensore… non sono amici, sono, appunto, vicini di casa, stronzi, per giunta.

Né gli sconosciuti o i clienti della nostra azienda diventano automaticamente amici solo perché ne conosciamo nome e cognome. Ciò sta a significare che la gente qualunque cresce allo status di “amico” solo quando certe condizioni si verificano.

Se quindi è una verità appurata, incontrovertibile, che “l’amicizia non è un do ut des”, il solo fatto di pronunciare come scusante questa frase è a mio parere il modo migliore per distruggerla.

Che senso ha pronunciare una frase del genere?

A parte ribadire questo fatto noto, infatti, l’unico scopo utile per farlo è quello di mettere in chiaro una cosa, cioè che da un’amicizia non si deve pretendere nulla.

Ed è vero: non si deve pretendere nulla. Tranne la volontà di mantenere quest’amicizia.

E' troppo facile, con la scusa del “non è un do ut des”, disinteressarsi completamente degli amici. Soprattutto se gli amici mandano segnali di volontà di riallacciare, la volontà di non lasciar morire un rapporto importante.

“Non è un do ut des” significa, tout-court, “se vuoi questo posso dare, se pretendi di più possiamo chiudere”. E' un ammissione di non voler dare nulla di non voler impegnarsi a risolvere. Il solo pronunciarla è l’ammissione che dell’amicizia non si può fare nulla, che non si vuole tornare sull’argomento, un ultimatum che non lascia spazio a decisioni.

Quando un amico ti chiede di impegnarti, non puoi rispondere “non è un do ut des”, puoi rispondere mille altre cose, del tipo “scusami sono molto distratto”, oppure “non volermene, ma sono pieno di problemi”, magari anche con l’impegno di cercare di fare di più.

Eppure alle volte queste semplici frasi non vengono. Forse è difficile ammettere di aver trascurato troppo gli amici, di esser troppo pigri, salvo lamentarsi di essere soli, depressi, abbandonati… Ma il fatto, bruciante, è che alle volte abbiamo tempo per aggiornare il blog e caricare le ultime foro su flickr, ma non per un sms di miseri 160 caratteri (che non devono essere usati tutti, per digitare “ti pensavo, mi mancano le nostre birrate” ci si mette meno che aggiornare il profilo su facebook). Ci aspettiamo che sia l’altro a muoversi, a venire in cerca quando abbiamo bisogno.

Il “non è un do ut des” è l’ammissione che l’amicizia deve essere comoda, esserci quando serve ed esser poco ingombrante e fuori dai piedi quando invece non si ha tempo, l’ammissione che non c’è neppure un minimo sindacale garantito, che deve essere l’altro a tener le fila… senza pensare cosa sarebbe del mondo se tutti ragionassero in questo modo: il solo fatto che per termodinamica i giorni incasinati sono di gran lunga maggiori di quelli sereni, limita esponenzialmente le probabilità che due persone che si considerano amiche siano ben disposte ad incontrarsi…

**Epilogo molto personale.

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Oggi ho chiuso definitivamente un’amicizia di trent’anni.

“Io da un amico non mi aspetto nulla”, quindi neanche il mio affetto, il mio pensiero, la mia amicizia. “Non è un do ut des”… Parole che pesano come pietre tombali.

Ma c’era da aspettarselo. Sono stato io stesso a dire “non basta il passato per tenere viva un’amicizia”, anche se trent’anni sono sempre trent’anni. Brucia da morire, soprattutto quando durante gli ultimi 18 mesi hai cercato per l’ennesima volta un contatto, discretamente, e l’unica cosa che hai ottenuto sono superficiali messaggi di risposta, sempre poco interessati alla tua vita, alla tua esistenza… come il martelletto del medico sull’arco riflesso rotule, o neanche, dato che alle volte cadono nel vuoto.

Eppure…

Poi arrivano le spiegazioni. Cazzate, o magari anche cose ragionevoli, ma tirate fuori dopo 18 mesi bruciano più che la sabbia negli occhi: quanto costava parlarne prima? Si poteva risolvere, spiegarsi. No, perché l’amicizia non è un do ut des, nulla è dovuto. Nulla.

Caro Andrea, mi spiace sia finita così. Trent’anni sono abbastanza per conoscere una persona, per imparare a volerle bene, ma non abbastanza per capire quanto può farti male un addio. E il tuo “in bocca al lupo per tutto” ha proprio questo amaro sapore.

Non mi aspetterò che tu riallacci, d’ora in poi. Così non rischierò di sentirmi ancora un ingenuo che non sa che non è un “do ut des”.

Però sono certo che mi farà piacere.