Continua la serie dedicata ad alcuni argomenti matematici volti a spiegare l’origine e il valore del numero i.
Noto scrivendo che la narrazione mi sta un po' prendendo la mano, ho preso l’argomento molto più alla larga di quanto avrei pensato. Ma raccontare la matematica mi appassiona, e spero di comunicarvi un po' di questo entusiasmo. Non me ne abbiate.
In questa parte arriveremo al punto cruciale.

Dunque nella storia si sono susseguite scoperte matematiche che, per il loro difetto di immediatezza nel mondo reale e tangibile, sembrano più artifici ed invenzioni.





Tuttavia il “tutto” matematico ha una sua logica e coerenza interna che si rivela meravigliosamente con i collegamenti che spesso si “scoprono” tra parti diverse, distantissime, dell’intera disciplina. Mi riferisco, per esempio, alla meravigliosa scoperta di Wiles di un isomorfismo tra curve ellittiche e forme modulari, due campi distantissimi che, insospettabilmente, si sono scoperti essere di struttura identica. Tale scoperta portò, tra l’altro, alla dimostrazione dell’ultimo teorema di Fermat, uno dei problemi che assillò per secoli tutti i più grandi matematici.





I numeri negativi furono introdotti abbastanza presto per indicare quel genere di quantità che indicano un debito anziché un credito. Se ottengo due mucche in prestito dal mio vicino, non possiedo due mucche, ma solo un debito di due mucche.





E’ chiaro che questo concetto sembra piuttosto artificioso, soprattutto se visto con gli occhi di un non abituato a manipolare grandezze economiche.





I numeri negativi possono indicare anche variazioni: la temperatura è variata di -2°. Anche questa interpretazione sa di posticcio. Per far sparire il concetto basta indicare la direzione in cui la temperatura è variata: la temperatura è calata di 2°.





E neppure nella fisica il numero negativo ha necessariamente un corrispettivo concreto. Se pensate che d’inverno la concretezza dei numeri negativi si fa sentire in termini di geloni e raffreddori, con il freddo, sappiate che è soltanto una convenzione che si utilizzi una scala in cui la temperatura di fusione del ghiaccio segna lo zero. La temperatura in fisica si misura in Kelvin (non si usa il termine “grado”), il cui zero è un limite matematico. Quindi la temperatura è un valore strettamente positivo.





Il concetto di negativo diventa più facilmente digeribile con la rappresentazione dei numeri sulla retta.





In matematica si usa rappresentare i numeri su una retta. Infatti tra i numeri è indotto un ordinamento, è possibile cioè sempre dire se un numero è maggiore o minore di un altro.





(A dire il vero, è uno dei cardini su cui si costruisce il nostro modo di contare: è un postulato, ossia un principio assunto come indimostrato ma fondamentale, che ogni numero naturale abbia un successivo, ossia, che i numeri naturali siano naturalmente ordinati).





Quindi si dispongono tutti i numeri su una retta, dal più piccolo al più grande.





Per i numeri naturali si parte dall’1 e si prosegue verso destra. Lo zero, che non è un numero naturale, si è aggiunto giusto prima dell’1, poi si infittiscono i punti della retta inserendo prima i razionali (le frazioni) e poi gli irrazionali (come π, e, ecc...).





Quel che si ottiene è una semiretta. Si è dimostrato peraltro che questa semiretta “non ha buchi” nel momento in cui si inseriscono gli irrazionali.





I negativi trovano spazio in modo analogo nell’altra semiretta che da zero punta in direzione opposta. E’ la retta dei reali.  

Retta dei numeri reali

 





Riassumendo, la storia della matematica ha partorito una nuova soluzione ad ogni nuovo problema concreto: i razionali nel momento in cui si dovevano dividere una mucca, una torta o una giara d’olio, ovvero quando si doveva dare una soluzione alla divisione tra numeri interi non divisibili. I negativi quando con l’invenzione della moneta si è inventato il primo bilancio aziendale, ovvero quando sottraendo un numero da un numero più piccolo, si arrivava a “meno di zero”. Infine gli irrazionali per dare ragione di numeri che non erano esprimibili come frazioni, come la diagonale del quadrato ossia l’estrazione della radice quadrata, o per risolvere il problema della quadratura del cerchio, oppure per dar corpo al rapporto aureo, quel rapporto armonico che ha dato i canoni a tutta l’arte classica.





 





Resta un problema aperto: se l’addizione e il prodotto sono operazioni “chiuse”, ovvero sempre risolvibili con l’operazione inversa, nel momento che nella retta dei reali abbiamo aggiunto negativi, razionali ed irrazionali, che dire dell’elevamento a potenza?





 





L’elevamento a potenza è un problema concreto: è l’operazione che lega il lato di un quadrato con la sua area, o lo spigolo di un cubo con il suo volume.





Tuttavia questa operazione risulta imperfetta, poiché di alcuni numeri non si può trovare la radice, cioè i negativi.





E la matematica sembra non accettare l’imperfezione. Se immaginiamo l’insieme dei numeri come un cerchio, e la relazione “ha operazioni in” come una freccia, questo insieme di frecce non va a finire in tutto l’insieme dei reali, ma solo in una sua parte, un suo sottoinsieme. Un matematico direbbe che si tratta di una relazione iniettiva.





Tuttavia, come un’opera d’arte non è completa se tutta la tela non rispetta determinati canoni, e se i colori si fondono in una sinfonia armonica, così il “corpo” dei reali con una operazioni così evidentemente non simmetrica, appare disarmonica, incompleta...    

(continua)